L’epatite C può avere conseguenze molto gravi sul fegato: è importante una diagnosi veloce e la giusta
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A cura di
Dott.ssa Valentina Cuomo
L’epatite C può avere conseguenze molto gravi sul fegato: è importante una diagnosi veloce e la giusta terapia
L’epatite C è un’infiammazione del fegato, causata dal virus HCV. Di questo virus a RNA esistono diversi genotipi, che determinano variazioni sia nello sviluppo della malattia che nella risposta alle terapie. Questa malattia può comportare, negli anni, gravi danni al fegato. Essa può evolvere in cirrosi epatica e determinare la formazione di tumori.
Rispetto alle altre principali epatiti di natura virale, epatite A ed epatite B, non esiste un vaccino per l'epatite C. Per tale ragione, questa patologia non va sottovalutata ma affrontata rapidamente e con le giuste cure.
Il contagio col virus HCV avviene per via parenterale, ovvero è necessario il contatto tra il proprio sangue e il sangue infetto di un’altra persona. In virtù di ciò, l’epatite C può essere trasmessa in diverse circostanze:
La gravidanza, invece, costituisce un metodo di trasmissione molto raro. Non è frequente, infatti, che il virus venga trasmesso dalla madre infetta al feto. Molto raro è anche il contagio attraverso rapporti sessuali. La trasmissione avviene solo nel caso vi sia uno scambio di sangue (ad esempio durante le mestruazioni o in presenza di lesioni).
L’epatite C ha un periodo d’incubazione che varia da 2 settimane a 6 mesi. Generalmente, però, i primi sintomi iniziano dell’epatite C si manifestano a distanza di 6-9 settimane dal contagio. I sintomi e le conseguenze dell’epatite variano a seconda della tipologia di epatite: acuta e cronica.
Nella sua fase acuta, l’epatite C è spesso asintomatica e raramente costituisce un pericolo per la vita (solo nello 0,1% dei casi risulta fatale). Di norma la durata è compresa tra 2 e 12 settimane. I sintomi, se presenti, non sono facili da distinguere rispetto a quelli causati da altre infezioni.
Ecco alcuni dei principali sintomi dell’epatite C acuta:
nausea, vomito e inappetenza;
malessere generale;
febbre;
ittero, ovvero colorazione gialla di pelle e sclera degli occhi.
Nell’85% dei casi, il virus non viene debellato e rimane nell’organismo. L’infiammazione cronica del fegato determina così, negli anni, danni gravi a questo organo vitale.
Il tessuto attaccato dal virus, infatti, perde via via la sua funzionalità e viene sostituito da tessuto fibroso. Questo processo, che dura anche 20-30 anni, porta alla cirrosi epatica. Ciò determina un aumento esponenziale del rischio di sviluppare tumore del fegato (epatocarcinoma).
La diagnosi dell’epatite C può avvalersi di diversi esami, sia sul sangue che strumentali.
Grazie ad un semplice prelievo di sangue venoso, possono essere effettuati diversi esami:
Gli anticorpi anti-HCV hanno come obiettivo la ricerca degli anticorpi che il nostro organismo sviluppa contro il virus dell’epatite C. Questo valore deve essere negativo, se positivo vuol dire che c’è o c’è stata l’infezione da HCV.
L’HCV-RNA o carica virale è la ricerca e la quantificazione del materiale genetico del virus. Questo test risulta positivo se l’infezione è in corso. Tale test viene ripetuto anche durante la terapia, per verificare la risposta dell’organismo. Se infatti la carica virale diminuisce, nei test successivi, significa che la terapia sta facendo effetto.
Il genotipo HCV individua il ceppo del virus che ha provocato l’infezione. L’esame è utile per stabilire i rischi e la terapia più adeguata. I markers tumorali, infine, permettono di valutare l’evoluzione della malattia epatica nei pazienti cronici che rischiano di sviluppare tumori del fegato.
Oltre agli esami del sangue, come detto, è possibile ricorrere anche ad esami strumentali per diagnosticare l’epatite C. Nello specifico:
Gli screening per l’epatite C sono rivolti verso specifiche categorie di popolazione, individuate come a rischio d’infezione. L’obiettivo del programma di screening è quello di individuare persone infette, che però non presentano sintomi. In tal modo, individuata e curata l’infezione, è possibile arginarne la diffusione su ampia scala. Gli screening sono effettuati tramite test di prelievo di sangue o di saliva.
Di epatite C si guarisce? La storia della terapia dell’epatite C è, allo stesso tempo, una storia di grande successo della ricerca ma anche di grandi quesiti etici e negoziati per il prezzo delle nuove terapie.
Fino al 2013, infatti, l’unica terapia a disposizione era l’associazione tra interferone e ribavirina. L’interferone aveva lo scopo di modulare la risposta immunitaria, mentre la ribavirina di agire indirettamente sulla replicazione del virus. Il successo di questa terapia però era inferiore al 50% dei casi e gli effetti collaterali molto pesanti.
Dal 2013 la ricerca ha messo a punto nuovi farmaci, detti antivirali ad azione diretta, come il Sofosbuvir. Questi, agendo direttamente sulla replicazione del virus, hanno una percentuale di successo superiore al 98% in 2-3 mesi di terapia. Tali farmaci sono talmente efficaci che hanno reso possibile la donazione di organi da individui infetti.
A questa super efficacia, però, per molto tempo ha fatto da contrasto un costo elevatissimo (fino a 70000€ per paziente). A causa di ciò, nei primi anni di utilizzo di tali farmaci, il Servizio Sanitario Nazionale ha dovuto limitare la terapia solo ed esclusivamente ai casi più gravi.
Grazie a lunghe negoziazioni, poi, il costo per il SSN è stato abbattuto e la terapia è diventata gratuita per tutti i malati. L’accesso a queste terapie deve però avvenire tramite i centri autorizzati alla prescrizione, che sono presenti in ogni regione.
Il trapianto di fegato si rende necessario nelle situazioni in cui l’organo è irrimediabilmente danneggiato oppure in presenza di tumore. Per fortuna, grazie all’avvento dei nuovi farmaci, questa eventualità è oggi molto più rara.
Non esiste un’alimentazione specifica per l’epatite C. Tuttavia, è necessario seguire una dieta sana e bilanciata che non vada a sovraccaricare di lavoro il fegato e aumentare i fattori di rischio. Per tale motivo è importante:
Esistono diversi integratori, soprattutto a base di Cardo mariano, che trovano impiego per favorire la rigenerazione delle cellule epatiche. È importante però che, nel caso di pazienti con epatite virale, sia sempre il medico a stabilire se e come assumere questi integratori.