Ipossia, iperventilazione, cefalea e pressione alta in montagna: quello che cè da sapere su cosa fare e non
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A cura di
Dott.ssa Valentina Cuomo
L’altitudine genera cambiamenti all’interno del nostro organismo. Quando saliamo di quota, alcuni meccanismi variano per una serie di cause. Queste modifiche, in alcuni casi, possono generare il cosiddetto mal di montagna. Questo stato di malessere si manifesta con alcuni sintomi specifici e possono portare a conseguenze anche pericolose per la salute.
Il nostro corpo lavora utilizzando l’ossigeno, presente nell’atmosfera per una percentuale pari al 21%. Questa concentrazione percentuale non cambia salendo ad altitudini maggiori. A cambiare è invece la pressione dello strato di aria sopra la nostra testa.
La conseguenza è che l’aria diventa più rarefatta, perché meno compressa dallo strato superiore. Di fatto, ad ogni atto respiratorio è minore anche la pressione dell’ossigeno all’interno dei polmoni. Da ciò ne consegue una minore circolazione nel sangue e un afflusso ridotto ai tessuti. Questo fenomeno si chiama ipossia.
Quando il nostro organismo è esposto al passaggio ad una crescente altitudine, la mutazione più importante a cui deve far fronte è rappresentata proprio dalla situazione di ipossia. Per rispondere alle nuove esigenze, l’organismo mette in atto una serie di meccanismi di compensazione che possono essere immediati e a lungo termine.
Le modifiche immediate messe in atto dal corpo sono:
Se la permanenza ad alta quota si protrae (almeno 15 ore), l’organismo mette in atto un adattamento più a lungo termine. In questo caso, il rene inizia a produrre eritropoietina. Questo ormone stimola la produzione di globuli rossi, i nostri trasportatori di ossigeno, per ottimizzare il rifornimento ai tessuti. Per apprezzare un significativo aumento dei globuli rossi, però, è necessario che la permanenza ad alta quota sia di almeno 15 giorni.
È possibile fare in modo che i meccanismi di adattamento del corpo siano favoriti. In generale, sembra che gli adulti si adattino meglio dei giovani e le donne meglio degli uomini.
Ad incidere sulle capacità di adattamento dell’organismo, chiaramente, è anche la velocità con la quale si raggiunge una determinata quota. Salire lentamente, infatti, dà al corpo più tempo per adattarsi. Inoltre, sono di fondamentale importanza lo stato di salute e il livello di allenamento.
Dal livello del mare fino ai 2000 metri di altitudine, in quella che si può ancora definire bassa quota, la diminuzione della pressione dell’ossigeno è così lieve che difficilmente si avvertono sintomi. Anzi si apprezzano i benefici dell’aria di montagna: fine, pulita, con meno polvere e pollini. Fino ai 2000 metri, insomma, si respira decisamente meglio.
Salendo ancora di quota, però, è possibile che i meccanismi compensatori del corpo non siano sufficienti e può manifestarsi il cosiddetto mal di montagna. Secondo i dati forniti da CAI (Club Alpino Italiano), le percentuali di persone che soffrono di mal di montagna alle diverse quote sono:
Il mal di montagna si manifesta generalmente con cefalea, quindi mal di testa. Questa può essere accompagnata da altri sintomi, tra cui:
Nei casi più gravi possono manifestarsi anche edema polmonare o cerebrale, cioè un accumulo di liquidi in polmoni e cervello, che possono risultare fatali.
Al manifestarsi dei sintomi dell’alta montagna, la cosa importante è scendere di quota e contattare il medico. Questi potrebbe prescrivere farmaci come l’acetazolamide ed il desametasone. In alcuni casi l’acetazolamide può essere utilizzata anche in prevenzione, da 24 ore prima l’inizio della salita e sempre sotto il controllo del medico.
Quando non è possibile la rapida discesa, ad esempio a causa delle condizioni climatiche, si può optare per il sacco iperbarico. In questa struttura si aumenta la pressione dell’aria, praticamente simulando la discesa.
Chi soffre di ipertensione deve sapere che ad alta quota la pressione tende a salire. Di conseguenza, si rischia di creare uno scompenso tale da costituire un pericolo di vita anche a quote non eccessive. Inoltre, anche se può sembrare strano, a quote superiori ai 3500 metri i farmaci antipertensivi diventano meno efficaci o perdono addirittura effetto.
In linea generale, possiamo dire che quote fino a 2000-2500 metri vengono considerate sicure. Tuttavia, il consiglio è di consultare sempre il proprio medico, che indicherà cosa fare e cosa non fare nel proprio caso specifico. Potrebbe ad esempio essere necessario un aumento della terapia antipertensiva. La cosa importante è evitare di modificare in autonomia la dose di farmaco.
Altri consigli generalmente validi sono: